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Clara Pazzaglia

La poesia del fare film

Titolo: È stata la mano di Dio
Regia: Paolo Sorrentino
Lingua: Italiano
Durata: 130'

 

La poesia è sempre stata parte integrante del cinema, e dov’è che possiamo trovare più poesia se non nei ricordi di qualcuno? In questo breve resoconto della sua vita da adolescente, Paolo Sorrentino ci presenta la poesia della bella e mondana vita familiare napoletana.

È stata la mano di Dio è una breve biografia della vita di Sorrentino negli anni 80. Il suo alter-ego cinematografico è Fabietto Schisa (Filippo Scotti), un sedicenne senza amici, che riesce a pensare solo alla bella e nuda zia Patrizia (Luisa Ranieri) e alla possibile acquisizione di Maradona da parte della sua squadra del cuore, il Napoli. Vive a Napoli con i suoi genitori, papà Saverio (Toni Servillo) e mamma Maria (Teresa Saponangelo), suo fratello Marchino (Marlon Joubert) e sua sorella Daniela (Rossella Di Lucca), che riusciamo a vedere solo alla fine del film dato che è sempre chiusa in bagno. Vediamo che Fabietto è completamente innamorato della storia d’amore dei suoi genitori, che sembrano amarsi ancora come il primo giorno anche dopo tanti anni. In realtà, scopriamo che Saverio tradisce Maria, e che questa non sia in realtà una novità. Per cercare di rimarginare il rapporto, Saverio e Maria comprano una casa in campagna, dove incontreranno il loro vile destino. Quando gli viene chiesto come mai non fosse anche lui alla casa di campagna il giorno dell’incidente, Fabietto racconta che era allo stadio a vedere una delle partite più famose di Maradona, e un vecchio zio urla che è stato salvato dalla “mano di Dio.” Questa vicenda succede circa a metà film, e il resto è il resoconto di come Fabietto e Marchino stiano affrontando la perdita dei genitori. Fabietto si avvicina al cinema e al fare film, e alla fine incontra il suo mentore Antonio Capuano (Ciro Capano), che in un dialogo molto poco sentimentale, gli spiega la vera bellezza del fare film.

Dove sta la poesia in tutto questo? Il film funziona come un ricordo, con parenti che non invecchiano mai e tutti sempre nei loro momenti migliori e più divertenti, anche quando vengono colpiti dai tempi più duri. Ogni scena è girata in una maniera incredibilmente mondana, sembra che non ci sia nulla di speciale e invece ogni inquadratura sembra così assurdamente magica. Il ricordo di Sorrentino di un periodo così difficile ma così fondamentale della sua vita è pieno della poesia di cui è piena la vita di tutti quanti. Sembra un film senza ambizioni, poiché la narrazione è spesso senza forma e le situazioni sembrano tutte familiari. Guardiamo Fabietto, da che era un adolescente perso, diventare un uomo cresciuto forse troppo in fretta per poter riuscire a sopportare una tale perdita così presto nella sua vita. Vediamo che ancora più poesia viene fuori nei momenti in cui Fabietto lascia uscire la sua curiosità per anche i più piccoli drammi della sua famiglia estesa. La bellezza del film sta tutta nei piccoli momenti morti, nella pause, nei momenti di attesa dove non sembra succedere nulla, ed è lì che Sorrentino ci lascia andare a fondo, sia dei suoi personaggi che di noi stessi.

C’è anche un forte riferimento a Fellini, non solo perché è propriamente parte del film. Infatti, sentiamo la voce di Fellini nella scena in cui Marchino va a fare l’audizione per fare da comparsa in uno dei suoi film, che rimane innominato. A parte questo riferimento diretto, Sorrentino rende omaggio a Fellini nel modo in cui presenta le donne del film. Sono tutte donne piene e grandi, e di tutte le età. A parte la già menzionata zia Patrizia, che Fabietto definirà come la sua musa alla fine del film, abbiamo anche la Baronessa Focale (Betty Pedrazzi). È una donna alquanto complicata, che però giocherà un ruolo molto importante nella vita di Fabietto in una scena che onestamente ho trovato alquanto disturbante.

Sorrentino fa un breve resoconto di uno dei momenti probabilmente più difficili della sua vita, e lo fa rendendolo incredibilmente poetico e mondano. Funziona come un ricordo in cui vogliamo perderci e possibilmente da cui non vorremmo mai uscire, anche quando diventa insostenibile. Il tutto ha luogo nella stupenda Napoli degli anni 80, che ci accompagna in tutta la poetica della narrazione.

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