Titolo: Il potere del cane (The power of the dog)
Regia: Jane Campion
Lingua: Inglese
Durata: 126'
L’era moderna è caratterizzata dallo short video, video brevi che non durino più di 30 secondi. Tra TikTok, Instagram reels e ora anche YouTube shorts, siamo abituati a fruire di contenuti brevi, ma soprattutto immediati e dritti al punto. Insomma, tutto il contrario dell’ultimo film di Jane Campion, Il potere del cane (The power of the dog).
Ambientato nel Montana nel 1925, i fratelli Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons) Burbank sono i ricchi proprietari di un ranch. Phil è burbero e cattivo, l’apoteosi del cowboy americano rude e rozzo, mentre George è più mite e timido, sempre composto ed educato. Durante la transumanza, incontrano la vedova locandiera Rose Gordon (Kirsten Dunst) e il suo figlio giudicato molto effemminato, soprattutto da Phil, Peter (Kodi Smit-McPhee). George prende Rose in sposa, e finanzia gli studi di Peter alla facoltà di medicina e chirurgia. Mentre Peter è via per studiare, Rose si trasferisce a casa dei Burbank, dove la vita con il meschino Phil la porta sulla via dell’alcolismo. Quando Peter la raggiunge per le vacanze estive, viene subito attaccato da Phil, che non sembra dargli un momento di tregua, spingendo la madre ancora più sull’orlo del baratro. Il comportamento incattivito di Phil sembra essere influenzato dal suo ora defunto mentore “Bronco” Henry, che comprendiamo sia stato molto più che soltanto un maestro di vita per lui. D’un tratto, Phil decide di prendere Peter sotto la sua ala, insegnandogli a cavalcare e addirittura intrecciando un lazo per lui con la promessa di renderlo un vero cowboy, un vero uomo. Quando Rose, in un momento di forte ubriachezza, vende le pelli tirate da Phil ai Nativi Americani per indispettirlo, il rapporto tra lui e Peter s’intensifica ancora di più, finché Phil viene colto da un’improvvisa sospetta malattia.
La narrazione è suddivisa in capitoli, che probabilmente rispecchiano la costruzione dell’omonimo libro di T. Savage del 1967. Se questo dovrebbe aiutare la fruizione, in realtà rende il film più episodico mettendo ancora più in luce il suo ritmo già lento di per sé. Tuttavia, la narrazione è coadiuvata dalla meravigliosa colonna sonora a cura di Jonny Greenwood, che sottolinea ed enfatizza le azioni dei personaggi, suggerendo più di quanto non facciano le immagini. Infatti, il film rivelerà il suo vero scopo solo negli attimi finali, quando tutto sarà reso più chiaro dagli ultimi eventi della trama (qui omessi per evitare spoiler).
I personaggi sono costruiti giocando sugli opposti, a partire dai fratelli Burbank, Phil e George, totalmente in contrasto l’uno con l’altro caratterialmente e visivamente. Questa distinzione viene enfatizzata ancora di più nel momento in cui George si stacca da Phil, portando alla luce quale sia il vero problema di quest’ultimo. Mentre George è riuscito a trovare moglie e accasarsi, Phil è bloccato nella sua palese latente omosessualità, decisamente inconfessabile nella società in cui si svolge la trama. È forse per questo che, inizialmente, Phil tortura Peter, che invece sembra aver abbracciato di più il suo lato più effemminato. Phil sembra quasi invidioso della sicurezza di sé mostrata dal giovane ragazzo, e sembra manifestare questo suo sentimento cercando di demolire Peter tramite abuso verbale, che comunque non risparmia a nessuno delle persone che lo circondano. Questo fino a quando Phil decide di diventare per Peter ciò che per lui fu Bronco, accettando invece di più questo suo lato tenuto represso per la maggior parte della sua vita. Allo stesso tempo, il poco modesto Phil crede di poter infondere a Peter un po’ della sua vera mascolinità, insegnandogli come essere un vero cowboy e quindi un vero uomo.
Il film scorre lento principalmente tra scene in cui sembra non accadere nulla; veniamo portati galleggiando lungo il fiume degli eventi della trama di questo film, forse troppo poco celere per la sua epoca. Il potere del cane accade principalmente nella psicologia dei personaggi, e il suo senso non viene fuori fino alla vera e propria fine. In un’era di contenuti brevi e dritti al punto, il film della Campion risulta fin troppo prolungato per la visione.
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