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Clara Pazzaglia

Un pesante film sull’arte del teatro

Titolo: Qui rido io

Regia: Mario Martone
Lingua: Napoletano, Italiano
Durata: 133'
 

Siamo tutti consapevoli del fatto che il cinema prenda grande ispirazione dal teatro, e che lo abbia fatto specialmente nei suoi primi anni. Qui rido io di Mario Martone sottolinea le somiglianze tra i due, in un film che riguarda più l’albero genealogico del grande commediografo italiano Eduardo Scarpetta che la prima causa sul diritto d’autore in Italia. Ci perdiamo tra tutti i personaggi, trovando più affascinante la grandezza della produzione che la storia stessa.

È la Napoli dell’inizio del ventesimo secolo, e Felice Sciosciammocca di Eduardo Scarpetta (Toni Servillo) ha rimpiazzato la tipica maschera napoletana di Pulcinella. Tutti lo adorano, ed è il più grande commediografo e attore di teatro del suo tempo. La sua vita e quella della sua famiglia girano completamente intorno a lui e al suo teatro, importa solo ciò che dice o fa lui stesso. Dietro le quinte, la sua famiglia è molto intricata, mentre ci perdiamo tra figli legittimi e illegittimi, tra cui troviamo anche Peppino (Salvatore Battista), Titina (Marzia Onorato) ed Eduardo (Alessandro Manna) De Filippo, figli che ha avuto con la nipote di sua moglie, Luisa De Filippo (Cristiana dell’Anna). Nel picco della sua carriera, Scarpetta decide che vuole mettere in scena la parodia dell’opera di D’Annunzio “La Figlia di Iorio,” ma la sera della prima si rivela un flop, e D’Annunzio finisce anche a fare causa a Scarpetta per plagio. La causa durerà anni e avrà ripercussioni sul precario equilibrio della sua famiglia. Nell’ultima scena durante il processo, Scarpetta riuscirà a convincere il giudice con una grande performance attoriale e a dichiarare la sua opera come parodia legittima.

Raccontando la trama del film, sembrerebbe che il suo fulcro dovrebbe essere la causa legale, e che la situazione dell’allargata famiglia Scarpetta sia solo il contorno in cui si sviluppa. Ma guardando il film, è più il contrario. Ci perdiamo tra tutti i personaggio e figli e rapporti extraconiugali di Scarpetta, e, nelle scene in cui è presente tutta la famiglia, diventa veramente difficile ricordarsi chi è chi. La causa diventa solo il contesto in cui si sviluppa il dramma familiare. Mentre vediamo il film, ci perdiamo molto a guardare la magnificenza dei set e dei costumi, che fanno davvero giustizia alla Belle Epoque. A parte la grandezza della produzione, ci sembra di star guardando un film sull’arte del teatro, sulla sottile linea che separa la satira e la parodia dal plagio. Certe volte, sembra che anche gli attori stiano recitando a teatro più che al cinema, un espediente che non sempre funziona. Allo stesso tempo, il film sembra prendersi in giro da solo, nel tentativo di rispecchiare lo stesso genere di Scarpetta: la parodia.

In conclusione, il film è molto pesante. È lungo, ci sono troppi personaggi di cui ricordarsi, e il fatto che per la maggior parte sia recitato in dialetto napoletano non aiuta tutti gli spettatori (nemmeno quelli italiani) che devono comunque sempre dare un occhio ai sottotitoli. Qui rido io sembra fare due cose contemporaneamente: un film biografico sul grande Eduardo Scarpetta, e un resoconto della prima causa sul diritto d’autore in Italia, ma allo stesso tempo si perde in entrambi gli aspetti. È anche molto lungo e richiede molta attenzione da parte dello spettatore per avere davvero senso. Un altro aspetto che sottolinea la connessione tra cinema e teatro.

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